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Susanna Di Lernia

Cambiamento climatico e territorio

È dove viviamo. È sottoposto a crescente pressione da parte delle attività umane.

È parte della soluzione. Ma non può fare tutto da solo.

È stato reso pubblico e diffuso, lo scorso 8 agosto, l’ultimo rapporto dell’IPCC dedicato a cambiamenti climatici e territorio (Climate Change and Land), frutto del lavoro di 107 scienziati (52 le nazionalità coinvolte e 7000 le pubblicazioni di cui il rapporto è la sintesi). Il quadro che ne emerge è piuttosto sconcertante. Le attività umane esercitano sulla terra un’enorme pressione, attraverso l’utilizzo del 73% delle terre emerse libere da ghiacci, e questo è naturalmente dovuto all’aumento di popolazione - che ha subito una forte e ulteriore accelerazione negli ultimi 50 anni - e alla conseguente domanda di risorse. Dal 1961 ad oggi, infatti, l’offerta di cibo pro capite è aumentata del 30%, le risorse idriche impegnate per irrigazione sono aumentate del 100%, mentre dell’800% è cresciuto l’uso di fertilizzanti.


La terra è una delle nostre sorgenti di vita, in termini di cibo, materiali, acqua, fonti di energia. L’uso stesso della terra produce però emissioni di gas climalteranti. Dato interessante in questo rapporto, è che agricoltura, silvicoltura e altri usi del suolo sono responsabili di ben il 23% delle emissioni totali (mentre noi siamo abituati a pensare alle emissioni di CO2 solo in relazione alla produzione energetica e ai trasporti), cifra che arriva addirittura al 37% se si includono i processi di trattamento dei prodotti alimentari e lo smaltimento dei rifiuti. Si rileva inoltre che ben il 40% di questi prodotti vengono buttati senza essere consumati, rendendo così inutili le emissioni di gas serra generate per produrli.


Uno dei più grandi paradossi del cibo è che, a livello mondiale, attualmente, 821 milioni di persone sono denutrite (una persona su 10) mentre 2 miliardi sono invece affette da obesità (2,5 persone su 10) con conseguenti enormi ripercussioni sulla salute e sull’aspettativa di vita di entrambe le categorie.


In questo contesto, la pressione climatica (ondate di calore, scarsità idrica, inondazioni, desertificazione, incendi) contribuisce a mettere sotto ulteriore stress il sistema influendo negativamente sulla sicurezza alimentare, e cioè sulla capacità delle persone, a livello globale, di avere disponibilità di cibo, di poterlo utilizzare, di potervi accedere in maniera stabile e costante. Si stima che il cambiamento climatico avrà un ulteriore impatto sulla resa agricola, la qualità e l’offerta di cibo, con un possibile aumento dei prezzi alimentari.

Al 2050 è previsto un aumento fino al 23% rispetto agli scenari senza cambiamento climatico. È nella terra stessa che possiamo trovare la soluzione; la biosfera terreste (foreste e suoli) assorbe quasi il 30% delle emissioni antropogeniche di CO2 grazie ai processi naturali. Ma la terra non può fare tutto da sola. Sono necessarie azioni integrate volte alla mitigazione e all’adattamento, due facce della stessa medaglia nelle politiche di gestione territoriale e ambientale, dove l’una non può prescindere dall’altra; vanno considerati i diversi contesti, va posto l’accento sul ruolo delle istituzioni, servono le risorse finanziarie. È un po’ come la storia della coperta troppo corta: se la tiriamo verso l’altro rimarremo con i piedi scoperti. Nel rapporto, che analizza ben 40 opzioni di risposta al problema, per la prima volta, si parla di agricoltura sostenibile come di una soluzione al problema; di riduzione della deforestazione, gestione degli incendi e riduzione dell’erosione del suolo.


Inoltre, e questa è la grande novità del rapporto, cambiando le nostre abitudini alimentari, con un consumo maggiore di vegetali e frutti e una riduzione del consumo di carne, in particolare carne rossa, e di latticini ai livelli definiti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e alla scelta di prodotti a chilometro zero possiamo fare davvero molto per contenere i cambiamenti climatici e migliorare le nostre condizioni di salute.





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