Una goccia non fa un temporale...
Una nuvola compare solitaria nel cielo azzurro, il suo aspetto è rotondeggiante, candido e soffice, proprio come quello che tipicamente gli hanno attribuito la nostra fantasia e i nostri pastelli a cera fin dalla tenera età. La sua aria inizialmente non pare affatto minacciosa, ma ecco che al suo seguito ne arriva una seconda, poi un’altra e subito dopo un’altra ancora e, man mano che il loro numero aumenta, le nubi si organizzano in aggregati, che nel giro di breve tempo vanno a costituire una vera e propria coltre, densa e progressivamente più scura, che infine arriva a ricoprire completamente il cielo. Raffiche di vento iniziano a scuotere gli alberi, sempre più intense e frequenti, poi ecco che, all’improvviso, un bagliore tra le nuvole precede il fragore tonfo di un tuono e il terreno si ricopre di gocce sempre più grosse e fitte, dando il via alla fase più appariscente e, in qualche misura affascinante, del temporale.
Suoni, luci, forme, colori, sono tanti gli elementi che contribuiscono a rendere il temporale una delle manifestazioni naturali più spettacolari che l’atmosfera offre. Tutti ne abbiamo esperienza, eppure poco note sono molte sue caratteristiche, a partire dalla sua stessa essenza. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, il fenomeno del temporale non è necessariamente associato alla presenza di precipitazioni: sono infatti tuoni e fulmini a permettere di attribuire ad un temporale il suo nome, anche qualora questo si manifesti in totale assenza di pioggia. Viceversa, una precipitazione molto intensa, non accompagnata però da fenomeni elettrici, potrà definirsi, dal gergo scientifico più rigoroso a quello più colloquiale, un rovescio, uno scroscio o un acquazzone, ma non un temporale. Solo, non chiamatela bomba d’acqua, per carità, se non volete far morire di crepacuore un meteorologo!
Ma come nasce un temporale? La sua origine è da ricercarsi nei moti convettivi che possono innescarsi in atmosfera attraverso il rapido sollevamento di masse di aria calda dal suolo verso le alte quote.
Questo può avvenire o per trasferimento di calore all’aria presente nei bassi strati a contatto con il suolo surriscaldato dal sole, come tipicamente accade in estate, o per incuneamento di masse di aria fredda sotto masse di aria più calda preesistenti, che vengono conseguentemente spinte con forza verso l’alta atmosfera, come avviene invece nel caso dei temporali frontali o per sollevamento di masse d’aria dovuto alla presenza di orografia. Quale che sia il meccanismo di innesco, la condensazione del vapore acqueo contenuto nell’aria sospinta verso le alte quote porta alla formazione della nube temporalesca, il cumulonembo, a forma di cavolfiore o incudine rovesciata, la cui sommità può superare i 10 km di quota.
La vita media di una cella temporalesca si aggira solitamente intorno ai 30 – 40 minuti, eppure è noto che talvolta i temporali possano protrarsi anche per molte ore consecutivamente. Non si tratta in questo caso di cumulonembi particolarmente longevi, ma di una serie di celle che si susseguono una dopo l’altra, insistendo su una stessa zona e determinando un “allungamento” del fenomeno.
Ogni anno sulla Terra si abbattono oltre 16 milioni di temporali, con una media di 45.000 temporali al giorno. La loro frequenza non è tuttavia uniformemente distribuita nel corso dell’anno e, a ben vedere, neppure nel corso del giorno. E’ infatti piuttosto noto che, dalle nostre parti, i temporali avvengano più frequentemente a cavallo tra la stagione primaverile e quella estiva e, come forse ai più attenti osservatori non sarà sfuggito, più spesso nelle ore comprese tra il tardo pomeriggio e la notte. Come mai? La spiegazione va ricercata nei meccanismi di innesco di cui si è parlato poco sopra, due dei quali, quello frontale e quello orografico, possono avvenire statisticamente più o meno con le stesse probabilità in qualsiasi momento dell’anno e del giorno, mentre il terzo, che dà origine al cosiddetto “temporale di calore”, è caratteristico della stagione calda dell’anno e si manifesta generalmente dopo che il suolo ha raggiunto il suo massimo livello di riscaldamento ed ha avuto il tempo di trasferire all’aria che lo sovrasta il calore accumulato, ovvero generalmente tra il tardo pomeriggio e la serata.
Il temporale è uno degli eventi meteorologici più difficili da prevedere, dal momento che le dinamiche alla base del suo sviluppo e formazione sono strettamente locali e frequentemente può accadere che, anche all’interno di una stessa città, il fenomeno possa manifestarsi in alcune zone sì e in altre no. Allo stesso modo - amanti della griglia e delle gite fuori porta non ce ne vogliano - è praticamente impossibile prevedere con un buon margine di affidabilità che un temporale avrà luogo se non a distanza di poche ore, mentre con maggiore anticipo si potrà tutt’al più preventivare che sussisteranno le condizioni idonee alla potenziale formazione di eventi temporaleschi.
Per quanto allettante possa essere la prospettiva, conviene dunque rinunciare alla fantasiosa idea di poter fissare il lunedì mattina la fascia oraria per la seduta di tintarella della domenica successiva, individuandola tra i due temporali in sequenza diligentemente previsti dalla propria app di fiducia. A meno di non essere disposti ad affrontare il rischio di un fulmine a ciel sereno. In tutti i sensi.