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Chiara Paganelli

Un prezzo da pagare per un mondo più pulito


Come ormai è noto a tutti, soprattutto anche alla luce delle numerose proteste sorte a riguardo, dal 1 gennaio 2018 è entrata in vigore la Legge n. 123 del 3 agosto 2017 (qui il testo ufficiale) di conversione del Decreto Legge Mezzogiorno che impone l’uso esclusivo di plastica biodegradabile e compostabile per le borse ultraleggere con i quali si pesano e si prezzano gli alimenti sfusi.



Biodegradabilità e compostabilità

La legge definisce borse ultraleggere quelle che hanno lo spessore della singola parete inferiore ai 15 micron (1 milionesimo di metro). Queste dovranno rispettare le caratteristiche di biodegradabilità e compostabilità, definite da una norma europea UNI EN 13432:2002, con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile di almeno il 40% (% che dovrà aumentare al 50% nel 2020 e al 60% nel 2021). La biodegradabilità è una caratteristica delle sostanze organiche o di alcuni composti sintetici che li rende decomponibili da alcuni batteri presenti in natura. Un materiale per essere definito compostabile, secondo la norma europea EN13432, deve rispettare determinate caratteristiche: “si disfa” quasi del tutto in 6 mesi (se sottoposto ad un ambiente ricco di anidride carbonica), si riduce in frammenti inferiori ai 2 micron se a contatto con materiale organico e ha al suo interno concentrazioni di metalli pesanti e di altri elementi chimici entro certi limiti stabiliti.


Costo sulla spesa familiare

La polemica sui sacchettini di bioplastica è nata non tanto dal vincolo di utilizzo di questa tipologia di sacchetti, quanto dall’obbligo imposto ai commercianti di far pagare ai consumatori questi shopper. La legge riporta infatti che “le borse di plastica in materiale ultraleggero non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti imballati”. Viene quindi esplicitato tra le voci dello scontrino l’importo per la busta biodegradabile utilizzata. Considerato il periodo di un anno, è stata stimata una spesa complessiva per il consumo di questi sacchetti, aggiuntiva al costo per la spesa dei prodotti alimentari, compresa tra i 4,17 e 12,5 Euro a famiglia. Questo calcolo deriva dai dati analizzati da Gfk-Eurisko, secondo i quali le famiglie italiane effettuano ogni anno una media di 139 spese nelle grandi catene di supermercati e in ogni spesa utilizzano 3 buste tra frutta e verdura. Viene poi considerato un costo a sacchetto che varia da 1 a 3 centesimi di Euro, che corrisponde ai prezzi attuati nella Grande Distribuzione, come riportato a seguito di una ricognizione effettuata dall’Osservatorio di Assobioplastiche.


Probabilmente il costo aggiuntivo annuo sarà maggiore soprattutto per quelle famiglie italiane che, seguendo la dieta mediterranea, sono grandi consumatrici di frutta e verdura. In ogni caso i costi sono comunque contenuti se confrontati con i rincari dei prezzi di energia, gas e petrolio previsti per il 2018. C’è anche da dire che gli shopper di plastica utilizzati in precedenza per la pesatura degli alimenti sfusi venivano distribuiti in maniera solo apparentemente gratuita: il costo di quei sacchetti di plastica veniva comunque in qualche modo recuperato dal commerciante o dai supermercati della grande distribuzione.


Consapevolezza del consumatore

Il rendere esplicito il costo dei sacchetti biodegradabili e compostabili nasce dalla volontà dei legislatori di rendere consapevole il consumatore sull’importanza della riduzione dell’utilizzo delle buste di plastiche che hanno effetti negativi di inquinamento ambientale, andando ad finire nei mari e gli oceani, con conseguenze dannose per diverse specie animali. La plastica rappresenta la frazione preponderante dei rifiuti rinvenuti in mare e grossi quantitativi di materiale plastico presenti nei mari e negli oceani hanno dato origine a grossi vortici di rifiuti, come il Pacific Plastic Vortex, la cui estensione, non nota con precisione, potrebbe arrivare a coprire un’area più grande della superficie degli Stati Uniti.


Possibili soluzioni alternative

Sicuramente esistono soluzioni alternative a quanto proposto dalla Legge Italiana, conl’obbligo dei sacchetti biodegradabili, che porterebbero lo stesso al raggiungimento dell’obiettivo di riduzione delle borse in plastica. L’utilizzo della carta, ad esempio, che ha tempi di smaltimento più brevi ma che non viene utilizzata nella Grande Distribuzione a causa della difficoltà incontrata dal cassiere nel verificare se il contenuto del sacchetto corrisponde a quanto riportato sull’etichetta. Un’altra proposta è l’uso di retine realizzate in materiali sostenibili, lavabili a 30°C e riutilizzabili, come viene fatto nei supermercati di Coop Svizzera, che vende questo tipo di borsa in confezione tripla a 4.95 Franchi Svizzeri. Ricordiamo che i sacchetti biodegradabili venduti in Italia, proprio a causa della loro degradabilità e del fatto che vengono a contatto con gli alimenti, non possono essere riutilizzati per fare nuovamente la spesa di prodotti ortofrutticoli.


Nonostante la Legislazione Italiana avrebbe potuto effettivamente valutare anche altre soluzioni rispetto a quanto fatto (che sarebbero state in ogni caso a pagamento per i consumatori), dovremmo concordare tutti, senza ombra di dubbio, che i nuovi sacchetti biodegradabili e compostabili sono da preferire ai vecchi sacchetti di plastica, prodotti con derivati del petrolio e con tempi di smaltimento pari a 1000 anni.


Un piccolo prezzo da pagare

L’utilizzo dei sacchetti in bioplastica biodegradabile a pagamento va quindi nella direzione di sensibilizzare la popolazione su tematiche ambientali, quali ad esempio il riciclo dei rifiuti o l’utilizzo di materiali meno inquinanti. L’obbligo imposto dalla Legge Italiana è quindi, a mio avviso, un prezzo accettabile da pagare che può però portarci verso un mondo più pulito. Inoltre, anche analizzando la “questione sacchetti” da un punto di vista puramente economico, le buste biodegradabili dell’ortofrutta possono essere riutilizzate per la raccolta del materiale deperibile (umido), i cui sacchetti costano in media quasi 10 volte il prezzo degli shopper venduti per pesare e prezzare frutta e verdura, permettendoci così di recuperare buona parte del costo speso per questi ultimi.


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