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Susanna Di Lernia

Se di marzo a notte tuona, la vendemmia sarà buona


Quando penso all’autunno, quell’affascinante periodo dell’anno in cui i colori assumono le tinte calde del giallo, del rosso e del marrone, penso spesso alla campagna, ai suoi profumi e ai suoi sapori. C’è un’immagine, però, un ricordo legato alla mia infanzia, che riaffiora in particolare: sono grappoli di uva rossa schiacciati da piccoli piedi, in grosse tinozze di legno durante la vendemmia. Un’immagine poetica, certo, che nell’immaginario di molti si lega a momenti familiari e gioiosi, ma, anche se le modalità di vendemmia si sono naturalmente evolute grazie alla tecnologia, non dimentichiamo che questa rimane un lavoro durissimo.

Per chi non si è mai posto la questione, farei in primis una precisazione terminologica: vendemmia è il termine specifico per indicare la raccolta delle uve indirizzate alla vinificazione, mentre, quando queste sono destinate al consumo fresco da tavola, si utilizza semplicemente la parola raccolta.

Come tutti i produttori di vino sanno bene, la viticoltura è in assoluto la pratica agricola più incerta e dipendente dai capricci meteorologici.


Le condizioni atmosferiche possono regalarci annate straordinarie o distruggere interi raccolti: non si pensi solo a grandine e gelo ma anche alla mancanza di sufficiente esposizione solare o alle numerosissime patologie funginee influenzate da fattori quali la temperatura e l’umidità. Il lungo lavoro di un anno intero può essere vanificato in un istante. Anche i tempi di vendemmia e raccolta vanno scelti in modo molto oculato, perché incideranno fortemente sul risultato finale indipendentemente che si vogliano produrre uve da vino o da tavola.


Questi tempi sono diversi a seconda della varietà di uva, ma coincidono sempre con la maturazione degli acini, nel periodo che va da estate inoltrata a metà autunno. Chiaramente, nell’emisfero boreale, questo periodo va da luglio a ottobre, mentre in quello australe, anch’esso ormai molto produttivo da un punto di vista enologico, è compreso tra gennaio e aprile. La vendemmia o la raccolta non vanno comunque mai effettuate in caso di pioggia o con i grappoli bagnati da nebbia o rugiada , perché si avrebbe un mosto diluito; sarà bene non iniziare quindi di primo mattino, ma attendere che il sole asciughi l’umidità dei grappoli. Da evitare anche le giornate di caldo intenso, quando è più probabile che si attivi una fermentazione spontanea.


La maturazione necessaria affinché si proceda con la vendemmia o con la raccolta non dipende solo dalla varietà dell’uva, ma anche dalla sua destinazione finale. In genere, le uve da tavola vengono raccolte al massimo della maturazione possibile, considerando anche i relativi tempi di trasporto, conservazione e vendita nei vari mercati ortofrutticoli. Le uve da vino vengono invece vendemmiate a seconda della tipologia di vino che si vuole ottenere (i vini dolci, liquorosi e i passiti si ottengono con una vendemmia tardiva) e del loro grado di acidità naturale, fondamentale nella produzione del vino e nella sua conservazione. Il rapporto tra zuccheri e acidi è alla base delle valutazioni nei tempi di vendemmia o raccolta. Naturalmente, questa valutazione è più difficile nel caso delle uve da vino, anche se, rispetto al passato, oggi esistono strumenti di misurazione molto efficaci.


Per la decisione finale, in ogni caso, il viticoltore o produttore deve conoscere e valutare tutti i fattori che influiscono sul regno vegetale, a partire dalle condizioni meteorologiche, diverse e imprevedibili ogni anno.

Le esposizioni a sud accelerano la maturazione, così come l’aumento dell’altitudine delle coltivazioni. Per quel che riguarda le differenze varietali, generalmente i vitigni bianchi maturano prima di quelli rossi, perché meno acidi e con contenuti zuccherini naturali maggiori.

Negli ultimi anni si è parlato diffusamente del rapporto tra vino e riscaldamento globale; è ovvio che la temperatura influenzi tutte le colture, ma l’uva da vino è di particolare interesse per i ricercatori perché molto sensibile al calore (e forse anche perché più appassionante rispetto alle rape). Non ci sorprendiamo, quindi, che esista una serie di studi che esaminano attentamente la reazione dell’uva da vino all’innalzamento delle temperature; alcuni di questi fanno previsioni piuttosto drastiche sui cambiamenti al settore vinicolo così come lo conosciamo oggi.


La conseguenza principale e più diretta di un clima più caldo è un’uva più zuccherina ed un vino più alcolico. Le maggiori temperature hanno, però, anche permesso all’uva da vino di mettere radici in luoghi prima non deputati alla sua coltivazione. Negli ultimi trent’anni, nel Regno Unito, la terra coltivata a vigneti è aumentata del 148%, con circa 4.650 acri. Il Canada e lo stato australiano della Tasmania, conosciuta per il vino spumante, sono altre zone a clima freddo in cui i vigneti sono in aumento.


Altra tendenza registrata è lo spostamento dei vigneti, in Paesi già produttori di vino, verso zone più fredde o con una maggiore altitudine.

A differenza delle variabili meteorologiche, che influenzano la viticoltura nell’immediato e che includono stagioni più calde o più fredde, piovose o siccitose, il cambiamento climatico è un problema a lungo termine e la variazione attesa va in una sola direzione: più caldo.

Le stime su quando le grandi regioni del vino vedranno un calo della produzione variano. Alcuni studi prevedono importanti riduzioni entro la metà del secolo, mentre altri collocano i grandi cambiamenti qualche decennio più avanti.

Il Pinot Noir sarebbe certamente il vitigno più colpito dai cambiamenti climatici a causa della sua limitata capacità di adattarsi per continuare a produrre vini fini ed eleganti. C’è chi prevede addirittura la scomparsa pura e semplice del vitigno Pinot Noir sulla costa di Beaune! A quando quindi il Syrah in Borgogna? Gli amanti del buon vino potranno mai sorseggiare un calice di Merlot del Montana o del Beaujolais cresciuto sulle rive del Baltico? Chi può dirlo…


È bene però prendere questi elementi con le dovute precauzioni.

La Francia, ad esempio, produce dei vini di qualità da diversi secoli ed ha saputo evitare bene gli ostacoli. Pertanto c’è da scommettere che i viticoltori saranno in grado di trovare le tecniche per preservare la qualità della produzione nei loro terroir.

In Trentino, nella Val di Cembra, intanto, per mantenere freschezza e acidità ai vini base spumante, le uve Chardonnay e Pinot Nero vengono spostate fino a quota 600 metri…



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